Comprendere le dinamiche della politica è molto complicato. Tracciare consequenzialità tra gli eventi politici russi è un compito ancora più arduo. Per alcuni giornalisti ed esperti sarebbe facile riprendere i propri archivi e tagliare corto con un “nel 2007 l’avevo previsto”. Le vicissitudini di breve periodo, i cambiamenti nella politica estera e interna e la situazione energetica hanno permesso che l’avvicendamento alla presidenza tra Medvedev e Putin si verificasse. Bisognerà capire se l’atteggiamento di quest’ultimo sarà lo stesso di quattro anni fa o se, da bravo politico, modificherà la sua agenda a seconda delle necessità.
Introduzione
Ultimamente, le agenzie e i giornali sono tornati a occuparsi della corsa alla presidenza russa e delle conseguenti dinamiche di potere. Il 4 dicembre si terranno le elezioni parlamentari, qualche mese prima delle presidenziali. Dopo qualche remora, il presidente uscente Dmitrij Medvedev ha confermato il suo sostegno alla candidatura dell’attuale primo ministro, ed ex-presidente, Vladimir Putin. Tutto pare ricalcare il copione scritto quattro anni fa quando Putin fece un passo indietro. Ciononostante, alcuni segnali di politica interna ed estera ci presenteranno con ogni probabilità una Russia diversa rispetto a quella presa in mano da Putin ad inizio secolo.
In ambito interno, oltre all’investitura di Putin quale “candidato designato” dal partito Russia Unita, nella seconda parte del 2011 sono avvenuti alcuni cambiamenti molto importanti. Alla fine di settembre, il Ministro delle finanze che ha accompagnato Putin nel suo percorso presidenziale, Aleksej Kudrin, è stato costretto alle dimissioni dopo un duro scontro con Medvedev.
Qualche mese prima, il presidente aveva condotto una sorta di rivoluzione al vertice, impedendo la compatibilità tra le cariche politiche legate al Cremlino e gli incarichi all’interno dei quadri delle più grandi compagnie russe. Molti uomini potenti, ai quali Putin aveva permesso il doppio incarico, si sono ritrovati a doverne abbandonare uno.
Il capitolo pietroburghese
La collaborazione tra Putin e Medvedev ha le sue radici nell’amministrazione comunale di San Pietroburgo, che negli anni Novanta diventò una fucina di politici giovani e rampanti. L’elezione di Anatolij Sobchak permise al suo staff di influenzare la vita politica della capitale europea della Russia. Molti di coloro che parteciparono a questo milieu furono poi chiamati da Putin come collaboratori o ministri durante i primi due suoi mandati presidenziali. Conoscerli meglio durante l’epoca pietroburghese ci aiuterà a capire chi sono diventati nello scorso decennio e perché.
Sobchak era professore presso la facoltà di giurisprudenza all’Università di Leningrado quando si candidò per le elezioni comunali del 1989. Alla sua campagna lavorarono molti suoi studenti ed ex-studenti, non ultimi Dmitrij Medvedev e Vladimir Putin.
Nelle sfere più alte del liberalismo pietroburghese, accanto a Sobchak, militavano Sergej Stepashin e Anatolij Chubais, importanti esponenti negli esecutivi durante la presidenza Eltsin. Inoltre, un folto gruppo di giovani politici si distingueva per l’intraprendenza che gli avrebbe permesso di inserirsi nel salotto del Cremlino già verso la fine degli anni Novanta. Grazie all’elezione alla presidenza di Putin, questo gruppo avrebbe dominato la scena politica russa dal 2000 in avanti.
L’operazione di occupazione del potere da parte di Putin ha riguardato anche i suoi ex compagni nei servizi di sicurezza (KGB, poi FSB). Il neo-presidente scelse con cura gli incarichi e consegnò le chiavi dei ministeri più importanti ai cosiddetti siloviki (dal russo silovye struktury, rappresentanti delle strutture di potere) e le redini delle aziende a partecipazione statale più forti ai suoi “amici” pietroburghesi (1).
Tra i siloviki si annoverano Viktor Ivanov, ex membro del KGB e vicecapo dello staff presidenziale dal Gennaio 2000, Sergej Ivanov, a lungo ministro della difesa e principale sostenitore di Mikhail Fradkov, primo ministro dal 2004 al 2007. Inoltre, nato in Cina, ma con un immenso senso patriottico, Sergei Stepashin, fu primo ministro per tre mesi nella transizione tra Primakov e Putin del 1999 (2) e rimase una figura molto influente negli ambienti militari e governativi. Nikolaj Patrushev lavorò a stretto contatto con Stepashin e Putin presso i servizi di sicurezza, prendendo il posto di quest’ultimo al FSB nel 1999 . L’ultima importante figura di questo seppur incompleto ritratto dei siloviki, Igor Sechin, è descritta nelle righe successive, visto che egli è anche parte del “gruppo dei pietroburghesi”.
Agli amici di San Pietroburgo che avrebbero fatto parte dell’establishment putiniano sarebbero stati concessi posti di rilievo. A cominciare dal futuro presidente Medvedev, inserito nell’amministrazione presidenziale fin dal 1999 e successivamente anche alla presidenza di Gazprom dal 2001. Sempre accanto a Medvedev, Sechin sarebbe diventato un uomo chiave del Cremlino. Il “cardinale grigio”, come lo definisce l’Economist (3), durante il secondo mandato di Putin accrebbe il suo potere sia all’interno dell’amministrazione presidenziale, sia grazie alla nomina a capo del colosso del petrolio, Rosneft’, nel 2004. Ancora in ambito energetico, uno stretto collaboratore di Putin durante l’amministrazione Sobchak, Aleksej Miller, avrebbe sostituito Rem Vyakirev come amministratore delegato di Gazprom nel 2001. Un altro illustre originario della grande città baltica, German Gref, fu nominato prima ministro dello sviluppo economico nel 2000 e poi trasferito al ministero dell’economia nel 2004.
Il pietroburghese di cui ci occupiamo maggiormente, però, non rimase fedele al neo-centralismo democratico (4) che caratterizzò la nascita e il successo del partito di maggioranza, Russia Unita. Aleksej Kudrin si trasferì a Mosca per prendere il posto di ministro delle finanze lasciato libero da Mikhail Kasyanov , nominato primo ministro nel Marzo del 2000. I suoi servizi saranno molto utili alla crescita economica della Russia e alla sua stabilità finanziaria interna. Memore della grave crisi del 1998, Kudrin aggiunse un pizzico di interventismo statale alla tendenza liberale del governo Kasyanov (5). Questo atteggiamento fu importante per Putin, grazie al quale Kudrin sopravvisse nel suo incarico anche dopo l’emarginazione di Kasyanov poco prima delle elezioni presidenziali del 2004 (6).
In questo intricato groviglio di personalità, Putin ha rappresentato chiaramente il filo conduttore. La sua abilità nell’intessere le trame politiche e bilanciare il potere tra le varie cariche politiche e affaristiche gli ha garantito la stabilità come leader indiscusso. Anche durante il periodo in cui, per rispetto verso la Costituzione, decise di lasciare la presidenza come aveva fatto Eltsin, designando il suo naturale successore.
Il gioco di potere
Proprio come era capitato nel 1999, nel 2007 Putin scelse Dmitrij Medvedev quale suo successore preferito e lo propose al bagno di folla del congresso di Russia Unita. Nei mesi precedenti alle elezioni, giornalisti e accademici si dividevano sul nome di colui che avrebbe preso il posto di Putin. Molti puntavano sul neo-premier Viktor Zubkov, non più giovane, che avrebbe gestito la cosa pubblica russa con una chiara deferenza verso Putin, conscio che il proprio mandato dipendesse dall’ex presidente. Altri scommettevano su Medvedev, quale giovane inesperto, che Putin avrebbe potuto modellare a piacimento, anche in virtù della decennale amicizia. Insomma, non c’era alcuno che ritenesse possibile che il presidente, che si sarebbe insediato nel 2008, avrebbe mostrato un’autonomia decisionale rispetto a Putin.
Non è a torto che si sospettasse di un pluralismo “zoppo”, visto che i candidati indipendenti erano stati censurati ed esclusi (da Kasparov a Kasyanov) e che i candidati di opposizione classica (Zyuganov e Zhirinovskij) non avevano un bacino popolare sufficiente a poter avvicinare la macchina elettorale di Russia Unita (7). Fu senza difficoltà, infatti, che Medvedev, il predestinato, ricevette circa il 70% dei voti.
Medvedev mostrò un’autonomia decisionale intermittente, soprattutto a causa della congiuntura internazionale in cui si trovò a operare. Pochi mesi dopo la sua elezione, le tensioni crescenti in Abkhazia e Ossezia del Sud lo spinsero a decidere unilateralmente di intervenire con l’esercito russo nei territori contesi. L’azione, che rispondeva a determinati dettami del diritto internazionale e ne infrangeva altri, sorprese lo stesso Putin. Nel 2011, l’intervento in Libia creò un ulteriore solco nelle relazioni tra Putin, che comparò la risoluzione ONU num. 1973 a una «medievale chiamata alla crociata», e Medvedev, il quale si distanziò da tale posizione appoggiando la decisione del Palazzo di vetro (8). Inoltre, Medvedev rilanciò più volte la sua volontà di giungere a una concreta liberalizzazione economica per scongiurare il pericolo di «stagnazione», parola che Putin mai avrebbe usato per descrivere la “sua” Russia.
L’autonomia decisionale si è altresì palesata nella posizione che Medvedev ha assunto nei riguardi di personalità politiche di spicco con cui non si è trovato d’accordo. Titoli di giornale sono stati spesi nel 2010 sul sindaco di Mosca, Jurij Luzhkov (9), sostituito da Sobyanin e nel 2011 su Sechin e Kudrin. Tutti accomunati dalla loro vicinanza al premier Putin. Con frequenza incostante, gli esperti spesero parole sulla capacità di Medvedev di distanziarsi dal suo predecessore. Tuttavia, l’attuale presidente ha sempre cercato di giustificare le proprie azioni attraverso il suo programma di liberalizzazione e modernizzazione (10). A questo proposito, Medvedev ha provato a far breccia tra le mura delle fortezze energetiche erette grazie alla rinazionalizzazione voluta da Putin, occupandosi poco di politica energetica, soprattutto di risorse tradizionali, come petrolio e gas naturale, a differenza del suo predecessore.
D’altra parte, durante la sua reggenza come primo ministro, Putin ha ottenuto dalla Duma un rafforzamento dei poteri del premier, costruendo le basi per il suo ritorno al Cremlino. Pur avendo perso qualche fedele alleato a causa dei “capricci” liberali di Medvedev, è rimasto saldamente al controllo del suo Paese. Inoltre, non ha esitato a cercare soluzioni anche nella revisione di una politica accentratrice. Alla ricerca della soluzione per l’uscita dalla crisi, dopo aver messo mano al Fondo Nazionale (11) (che aveva negli ultimi anni accumulato le risorse monetarie ottenute dalla vendita di idrocarburi), Putin ha ritenuto opportuno immettere nuovamente sul mercato porzioni minoritarie delle aziende statali, scelte soprattutto tra i giganti in difficoltà. Su tutti, Gazprom, impossibilitato ad aumentare il volume delle vendite, visti i problemi a Ovest (Ucraina) e a Sud (Turkmenistan), con la stessa forza di inizio secolo e mancando gli obiettivi di ricapitalizzazione nel 2008-10.
Il colpo di coda di Medvedev
La battaglia di Medvedev contro il “doppio incarico” tra quadri d’impresa e ruoli di partito è stata condotta dall’inizio del 2011. A Kudrin fu chiesto di scegliere tra la guida di VTB (la banca di investimenti più attiva nell’attrarre capitali dall’estero, di cui venne contestualmente venduto il 10% ) (12) e la poltrona di ministro delle finanze. A Sechin venne intimato di lasciare prima di luglio il suo ruolo di amministratore delegato di Rosneft’ se avesse voluto conservare il suo ruolo nell’amministrazione presidenziale. Entrambi optarono per l’esecutivo, dove Putin avrebbe potuto proteggerli da ulteriori attacchi. Uno scambio di vedute poco cortese, però, causò l’allontanamento di Kudrin a settembre, quando si vide costretto alle dimissioni dopo la pubblica nota di demerito riferita da Medvedev in diretta televisiva.
Quest’ultima forse un’ultima zampata prima di cedere il potere, ripetendo il ritornello dei suoi predecessori durante il congresso del partito. Come da tradizione, quasi hollywoodiana, il presidente parla per ultimo e designa il suo successore, presentandolo al partito. Questi, che aveva parlato poco prima, viene richiamato sul palco per accettare la candidatura e ricevere trenta minuti di applausi.
Aleksej Kudrin era infatti l’unico ministro della Federazione a dare del “tu” a Vladimir Putin e aveva recentemente sottolineato quali fossero gli svantaggi che la dipendenza dal petrolio presentava per l’economia russa (13). Pur non trovandosi d’accordo con l’atteggiamento statalista e centrato sull’energia di Sechin, Kudrin condivise con lui la vicinanza a Putin e il destino preparato loro da Medvedev. In particolare, in seguito al congresso di Russia Unita che mostrava i segni della distensione tra Putin e Medvedev e la ridefinizione dei rispettivi ruoli, Kudrin si lasciò scappare un’esternazione a distanza, secondo la quale avrebbe lasciato il governo se si fosse trovato a lavorare con Medvedev come primo ministro. Qualche giorno dopo, di ritorno in Russia, Kudrin incontrò il presidente a un summit governativo. Medvedev aprì bruscamente i lavori, in diretta TV, stigmatizzando le parole di Kudrin e intimandogli di lasciare il suo incarico di ministro. Kudrin passò il resto della riunione a redigere la propria lettera di dimissioni, che consegnò alla fine dei lavori. Il 27 settembre, Putin, accordatosi con Medvedev, nominò ministro delle finanze Anton Siluanov (14).
Conclusione
Nonostante Putin abbia dimostrato di poter vincere il gioco di potere, Medvedev ha ottenuto diverse soddisfazioni che, almeno sulla carta avvicinano di più la Russia al concetto occidentale di democrazia. La battaglia anti-corruzione, l’aumento della trasparenza e l’abolizione dei doppi incarichi tra esecutivo e mondo degli affari hanno indorato le pillole che l’Europa e gli Stati Uniti hanno dovuto inghiottire con l’intervento militare nel Caucaso, con l’inasprimento della censura nell’informazione e con la posizione antagonista russa nei fora internazionali (da ultimo il veto al Consiglio di Sicurezza ONU sulle sanzioni alla Siria).
Si sentono già i primi segnali di cambiamento: Putin ha recentemente pubblicato un articolo su Izvestiya che traccia il nuovo disegno geopolitico russo includendo l’area post-sovietica quale spazio economico prioritario. La spinta “eurasista” si iscrive in modo coerente nell’idea di un risorgimento dell’area tra l’Unione Europea e le emergenti potenze asiatiche.
Ma se le aspettative di un ritorno alla presidenza di Putin sono state attese, il futuro post-elettorale non è ancora scritto. I nuovi rapporti istituzionali che si delineeranno, la congiuntura economica e i temi energetici – dal progetto South Stream alle forniture all’Ucraina, dal condotto tra Burgas e Alexandroupolis all’incostante sostegno al nucleare in Bulgaria – modificheranno sicuramente lo scenario in cui Putin dovrà operare. L’impostazione del 2012 potrebbe rappresentare un “ritorno al passato” (vozvrat k proshlomu): solo mantenendo un atteggiamento intransigente in termini di sicurezza (estremismo e separatismo saranno combattuti ferocemente, soprattutto nel Caucaso del Nord), la collaborazione economica permetterà alla regione eurasiatica di stare al passo con i suoi concorrenti d’oltreconfine.
* Paolo Sorbello ha ottenuto la Laurea Specialistica in Scienze Internazionali e Diplomatiche dall’Università di Bologna (sede di Forlì). La sua tesi di ricerca è stata successivamente pubblicata da Lambert Academic Publishing con il titolo “The Role of Energy in Russian Foreign Policy towards Kazakhstan” (Giugno 2011). L’autore ha condotto i suoi studi presso istituzioni accademiche in Spagna, Russia e negli Stati Uniti. Ha lavorato presso importanti istituti di ricerca negli Stati Uniti e attualmente collabora con il centro di ricerca IECOB pubblicando articoli e approfondimenti su tematiche inerenti alla geopolitica dell’energia.
Note:
1) Si veda la definizione di “Friends of Putin” in Marshall I. Goldman, Petrostate: Putin, Power, and the New Russia, Oxford University Press, Oxford, 2010
2) Ian Bremmer and Samuel Charap, “The Siloviki in Putin’s Russia: Who They Are and What They Want”, The Washington Quarterly, vol. 30, n. 1, 2006-07; “The Making of a Neo-KGB State”, The Economist, 23 Agosto 2007.
3) “New jobs, old faces”, The Economist, 15 Maggio 2008. http://www.economist.com/node/11376699 . È interessante notare che il “cardinale grigio” per eccellenza fu Mikhail Surkov, ideologo sovietico. Nella Russia post-sovietica, in molti sono stati defininti “cardinali grigi”: Sechin e Surkov con più ricorrenza, ma, ironicamente, anche Chubais, cognato dello stesso Surkov.
4) Forse sarebbe più appropriato definirlo “centralismo organico” sull’esempio bordighiano, ma non è questa la sede per disquisire della natura dei processi decisionali all’interno di Russia Unita.
5) Olga Oliker, Keith Crane, Lowell H. Schwartz, Catherine Yusupov, Russian Foreign Policy: Sources and Implications, RAND Corporation, Santa Monica, CA, 2009.
6) Una ulteriore causa del divorzio tra Kasyanov e Putin è stata la divergenza sul caso Yukos.
7) Elfie Siegl, “Do Russian Liberals Stand a Chance?”, Russian Analytical Digest, n. 1, Giugno 2006; Fabrizio Dragosei, “Plebiscito per Medvedev: Mosca ha il nuovo zar”, Corriere della Sera, 3 Marzo 2008, pagina 2; Ennio Di Nolfo, “La mossa riuscita di Putin che vale la stabilità”, Il Messaggero, 3 Marzo 2008, pagina 1.
8 Inoltre, Medvedev censurò le parole di Putin, abbassando i toni da «scontro di civiltà». Doug Mataconis, “Putin, Medvedev Publicly Disagree Over Libya Intervention”, Outside the Beltway, 21 Marzo 2011 http://www.outsidethebeltway.com/putin-medvedev-publicly-disagree-over-libya-intervention/
9) Brian Whitmore, “Medvedev Comes Into His Own”, Radio Free Europe / Radio Liberty, 6 Aprile 2011.
10) Presidente della Federazione Russa, “Meeting on economic issues”, 22 Aprile 2011, http://eng.kremlin.ru/news/2122
11) La creazione del Fondo Nazionale è da attribuire all’ex ministro delle finanze Aleksej Kudrin.
12) “Medvedev says privatization plan must be fixed, govt officials quit company boards”, RIA Novosti, 30 Marzo 2011. http://en.rian.ru/business/20110330/163289993.html
13) Nona Mikhelidze, “The 2012 Presidential Elections in Russia: What Future for the Medvedev-Putin Tandem?”, Istituto Affari Internazionali, working paper n. 1125, Settembre 2011.
14) Antonella Scott, “Kudrin sostituito dal suo vice: un tecnocrate alle Finanze”, Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2011.