Quantcast
Channel: Hassan Nasrallah – Pagina 149 – eurasia-rivista.org
Viewing all articles
Browse latest Browse all 64

Il Fronte di Liberazione della Libia si organizza nel Sahel

$
0
0

Fonte: Information Clearing House

 

Sahel” in arabo significa “costa” o “litorale“. Sebbene fosse presente 5000 anni fa quando, secondo gli antropologi, le prime colture del nostro pianeta iniziarono allora a lussureggiare in questa regione, oggi semi-arida, dove le temperature raggiungono i 50 gradi, e solo i cammelli e un assortimento di creature possono fiutare sorgenti d’acqua; sembra uno strano nome, per questo luogo geografico largo 450 miglia di sabbia cotta, che si distende dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso.

Eppure, stando in piedi lungo il bordo, il Sahel ha l’aspetto di una sorta di linea costiera che demarca le sabbie infinite del Sahara dall’erba della savana, a sud. Parti di Mali, Algeria, Niger, Ciad e Sudan, lungo tutto il confine con la Libia, rientrano in questa supposta terra di nessuno. Oggi il Sahel sta fornendo protezione, raccolta e depositi di armi, campi di addestramento, nascondigli, così come una formidabile base generale per coloro che lavorano per organizzare il crescente Fronte di Liberazione Libico (LLF). Lo scopo del LLF è liberare la Libia da quelli che sono considerati dei burattini coloniali insediati dalla NATO.

La regione del Sahel è solo una delle diverse posizioni che stanno diventando attive, mentre la controrivoluzione libica, guidata dalle tribù Wafalla e Gadahfi, si prepara per la prossima fase della resistenza.

Quando sono entrato in una sala conferenze in Niger, recentemente, per incontrarmi con alcuni sfollati dalla Libia, fui avvertito che stavano preparandosi a lanciare una “lotta popolare, impiegando la tattica maoista dei 1000 tagli“, contro il gruppo attuale che sostiene di rappresentare la Libia, due fatti mi hanno colpito.

Uno era quanti fossero i presenti, che non sembravano trasandati, troppo zelanti o disperati, ma che erano normalmente riposati, calmi, organizzati e metodici nel loro comportamento. Il mio collega, un membro della tribù di Sirte dei Gheddafi, ha spiegato: “Più di 800 organizzatori sono arrivati dalla Libia solo in Niger, e molti altri ancora giungono ogni giorno“. Un ufficiale in uniforme ha aggiunto: “Non è come i vostri media occidentali presentano la situazione, di disperati fedelissimi di Gheddafi che freneticamente distribuiscono fasci di banconote e lingotti d’oro per comprare la propria sicurezza dalle squadre della morte della NATO, che ora brulicano nelle aree settentrionali della nostra patria. I nostri fratelli controllano le strade sconfinate di questa regione da migliaia di anni, e sanno di non essere rilevati neanche dai satelliti e dai droni della NATO.“

L’altro argomento a cui ho pensato, mentre mi sono seduto per un primo incontro, era la differenza che tre decenni possono fare. Mentre me ne stavo lì, ho ricordato la mia visita con l’ex leader della gioventù di Fatah, Salah Tamari, che aveva fatto un buon lavoro nel campo di prigionia israeliano ad Ansar, nel sud del Libano, durante l’aggressione del 1982, come negoziatore eletto dai suoi compagni. Tamari insisteva per fare entrare alcuni di loro nella nuova base dell’OLP, a Tabessa, in Algeria. Questo fu poco dopo che la leadership dell’OLP, erroneamente a mio giudizio, accettasse di evacuare il Libano nell’agosto del 1982, piuttosto che ingaggiare una difesa alla Stalingrado (certamente meno attesa di una inesistente Armata Rossa) e la leadership dell’OLP apparentemente accreditò le promesse dell’amministrazione Reagan di “uno Stato palestinese, garantito dagli americani entro un anno. Potete prenderlo alla banca“, secondo le parole dell’inviato statunitense Philip Habib. Apparentemente fiducioso verso Ronald Reagan per una qualche ragione, il leader dell’OLP Arafat mantenne la promessa scritta da Habib nel taschino della camicia, per mostrarlo ai dubbiosi, tra cui il suo vice, Khalil al-Wazir (Abu Jihad), e le donne, tra gli altri, dello Campo di Shatila, che avevano qualche perplessità verso i loro protettori, che li lasciavano partendo.

A Tabessa, da qualche parte nel deserto algerino, i già orgogliosi difensori dell’OLP erano essenzialmente inattivi e ingabbiati nel campo e, a parte alcune sessioni di allenamento fisico, si ritrovarono a trascorrere le loro giornate a bere caffè e a fumare, e a preoccuparsi per i loro cari in Libano, quando la notizia del massacro di Sabra e Chatila, organizzato da Israele nel settembre 1982, cadde sul campo di Tabessa come una enorme bomba, e molti combattenti respinsero gli ordini di Tamari e partirono per Shatila. Questo non è il caso degli sfollati libici in Niger. Hanno telefoni satellitari di ultimo modello, computer portatili e attrezzature migliori della maggior parte delle ricche agenzie di stampa che si presentavano negli alberghi dei media di Tripoli, negli ultimi nove mesi. Domanda di questo osservatore, “come avete fatto tutti ad arrivare e dove ti sei procurato tutte queste nuove attrezzature elettroniche, così in fretta?” mi è stato risposto con un sorriso muto e una strizzatina d’occhio da una ragazza con l’hijab, che avevo visto l’ultima volta ad agosto, mentre distribuiva comunicati stampa a Tripoli, all’Hotel Rixos, del portavoce libico, dottor Ibrahim Musa, a fine agosto scorso.

In quel giorno particolare, Musa stava dicendo ai media mentre era accanto al viceministro degli esteri Khalid Kaim, un amico di molti statunitensi e attivisti dei diritti umani, che Tripoli non sarebbe caduta in mano ai ribelli della NATO e che “abbiamo 6500 soldati ben addestrati, che sono in attesa di loro“. Come si è scoperto, il comandante dei 6500 era dalla parte della NATO ed istruì i suoi uomini a non opporsi alle forze ribelli che entravano. Tripoli cadde il giorno dopo, e il giorno dopo Khalid venne arrestato ed è ancora all’interno di una delle decine di carceri dei ribelli, mentre ci si appella ai suoi rapitori che non rispondono alle visite dei familiari, e mentre una team di legali internazionali, organizzato dagli statunitensi, sta negoziando una visita.

La LLF ha progetti militari e politici in corso. Una di questi è competere per ogni voto alle elezioni promesse per la prossima estate. Un membro dello staff che ho incontrato, ha il compito di studiare le elezioni in Tunisia, Egitto e altrove nella regione, per possibili applicazioni in Libia. Un altro comitato del LLF sta mettendo insieme una campagna di messaggi nazionalisti, più altre azioni specifiche per la campagna elettorale dei propri candidati, e per creare liste di raccomandazioni per i singoli candidati. Nulla è ancora deciso con certezza, ma un professore libico mi ha detto “di sicuro i diritti delle donne saranno un importante pilastro. Le donne sono inorridite dal presidente del CNT Jalil, che ha detto, cercando il sostegno di al-Qaida, che minaccia di controllare la Libia, che la poligamia è il futuro della Libia e che le donne resteranno a casa, se divorziate. La Libia è stata molto progressista nei diritti delle donne, come nei diritti dei palestinesi.” Aisha Gheddafi, l’unica figlia di Muammar, che ora vive nella vicina Algeria con i membri della famiglia, tra cui il suo bambino di due mesi, fu una forza importante nella promulgazione del 2010, al Congresso del Popolo, di maggiori diritti per le donne. Le è stato chiesto di scrivere un opuscolo sulla necessità di conservare i diritti delle donne, che sarà distribuito se le elezioni del 2012 effettivamente si concretizzeranno.

Mentre il loro paese è in sostanziale rovina, per i bombardamenti della NATO, il LLF pro-Gheddafi ha alcuni importanti vantaggi dalla sua parte. Uno sono le tribù che, durante la scorsa estate, hanno iniziato a opporsi alla NATO, mentre Tripoli cadeva prima che avviassero i loro sforzi che includevano una nuova Costituzione. Il LLF crede che le tribù possano essere fondamentali per ottenere il voto. Forse, una freccia anche più potente, nella faretra del LLF, mentre lancia la sua controrivoluzione, sono i 35 anni di esperienza politica dalle centinaia di Comitati del Popolo libici, da tempo stabilitisi in ogni villaggio in Libia, insieme ai Segretariati delle Conferenze del Popolo. Mentre attualmente sono inattive (messe al bando dalla NATO, a dire il vero) si stanno rapidamente raggruppando.

A volte, soggetti al ridicolo da parte di alcuni sedicenti “esperti” della Libia, i Congressi del Popolo, basati sulla serie di libri verdi scritta da Gheddafi, sono in realtà molto democratici e uno studio del loro lavoro rende chiaro che essi hanno sempre più funzionato non come semplici timbratori delle idee che uscivano dalle mura della caserma Bab al-Azizyah. Un segretario generale di uno dei Congressi, ora lavora in Niger, ha ripetuto ciò che a una delegazione occidentale è stato detto, alla fine di giugno, nel corso di una conferenza di tre ore presso la sede di Tripoli della Segreteria nazionale dei Comitati Popolari. Ai partecipanti furono mostrati le presenze e le votazioni, nonché ogni articolo votato, nel decennio passato, ed i verbali dei dibattiti del Congresso del popolo più recenti. Illustravano le somiglianze tra un Congresso del Popolo e il New England Town Meeting, in termini di popolazione locale che prende decisioni che riguardano la comunità, e un ordine del giorno aperto, in cui i ricorsi e le nuove proposte potessero essere fatte e discusse.

Questo osservatore, ha particolarmente apprezzato nei suoi 4 anni di rappresentante del Ward 2A di Brooklin, al Massachusetts Town Meeting, mentre al college di Boston, a volte sedeva accanto ai suoi vicini Kitty e Michael Dukakis. Sebbene entrambi abbiamo vinto un seggio alle elezioni, ho ricevuto 42 voti in più di Mike, ma lui è risorto politicamente, mentre si può dire che io sono affondato, seguendo i miei incontri con la Students for a Democratic Society (SDS), l’ACLU e le Pantere Nere, tutti in un semestre, quale studente dell’Università di Boston, a seguito di uno stimolante incontro con i professori Noam Chomsky e Howard Zinn, nell’ufficio di Chomsky al MIT.

I dibattiti del Town Meeting erano interessanti e produttivi e “Mustafa“, il Segretario Nazionale dei Congressi del popolo libico, che ha studiato alla George Washington University di WDC, e ha scritto una tesi di laurea sul New England Town Meeting, sosteneva che il suo paese ha modellato i suoi Congressi popolari su di essi. Purtroppo, “Mustafa” è anche lui, oggi, in carcerato dal CNT, secondo amici comuni.

Quali saranno i candidati del LLF alle elezioni, in realtà non è noto, ma alcuni suggeriscono che il Dr. Abu Zeid Dorda, che ora si sta riprendendo dal suo “tentativo di suicidio” (l’ex ambasciatore libico alle Nazioni Unite è stato gettato da una finestra al secondo piano, durante gli interrogatori del mese scorso, dagli agenti della NATO, ma lui è sopravvissuto di fronte a dei testimoni, così è ora ricoverato in reparto medico del carcere). Contrariamente alle storie dei media, Saif al-Islam non è sul punto di consegnarsi alla Corte penale internazionale e, come Musa Ibrahim, sta bene. Entrambi sono stati sollecitati a tenere un profilo basso, per ora, a riposare e a cercare di curare i familiari e i molti amici stretti delle vittime della NATO. Molti analisti giuridici e politici, pensano che la ICC non procederà in relazione alla Libia, per motivo delle contorte regole e struttura dell’ICC, e per l’incertezza nell’assicurare l’arresto dei sospetti ‘giusti’.

Qualunque cosa accada su questo argomento, se il caso va avanti, i ricercatori si prepareranno a riempire il tribunale dell’ICC con la documentazione sui 9 mesi di crimini della NATO, per le sue 23.000 sortite e i suoi 10.000 bombardamenti sui 5.000.000 di abitanti del paese. Alcuni osservatori della Corte penale internazionale sono incoraggiati dall’impegno di questa settimana del Procuratore del CPI, come riportato dalla BBC: “a indagare e perseguire eventuali reati commessi sia dai ribelli che dalle forze pro-Gheddafi, comprese quelli eventualmente commessi dalla NATO.”

Come vittima dei crimini della NATO, che il 20 giugno 2011 ha perso quattro dei suoi familiari, tra cui tre bambini piccoli, mentre cinque bombe MK-83 della NATO venivano sganciate bombe e due missili statunitensi sparati, sul compound di famiglia, in un fallito attentato contro il padre, un ex assistente del colonnello Gheddafi ha scritto a questo osservatore, ieri, dal suo rifugio segreto, “Questa è una buona notizia, se è vera“.

Mentre la NATO sposta la sua attenzione e i suoi droni sul Sahel, è possibile che i suoi nove mesi di carneficina contro questo paese e questo popolo, alla fine, non raggiungeranno i loro obiettivi.

 

(Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora)

 

facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmailfacebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

Viewing all articles
Browse latest Browse all 64

Trending Articles