Lo scorso 4 ottobre i Ministri della Difesa dei Paesi aderenti alla NATO si sono incontrati a Bruxelles per discutere un eventuale, ulteriore riassetto dell’ordinamento strategico dell’Alleanza Atlantica.
Tuttavia, nel corso della riunione non è emersa una visione strategica condivisa, ma un affresco piuttosto problematico riguardo ai meccanismi finanziari su cui si regge la NATO, incardinati sugli esborsi statunitensi.
La crisi ha aperto crepe assai profonde nella struttura economica statunitense, al punto che negli Stati Uniti l’ala più marcatamente reazionaria e isolazionista del partito Repubblicano (il Tea Party) ha trovato il proprio posto al sole.
Ciò ha spinto l’indipendente Robert Gates, Segretario alla Difesa sia nell’amministrazione retta da Bush junior che in quella di Obama, a mettere pubblicamente in discussione il futuro prossimo della NATO puntando il dito contro l’avidità di numerosi paesi europei che, secondo il parere di Washington, non contribuiscono a sufficienza per potenziare l’Alleanza.
“Il Congresso statunitense – ha affermato Gates – non è più disposto ad approvare ulteriori stanziamenti finanziari per ovviare alla voragine aperta dalla ristrettezza alla spesa di paesi che evidentemente non sono in grado o non hanno l’intenzione di erogare fondi finalizzati al potenziamento della loro stessa struttura di difesa”.
Gates si riferiva evidentemente alla stagnazione delle missioni in Afghanistan e soprattutto in Libia, dove l’intraprendenza iniziale di Francia e Gran Bretagna è andata progressivamente attenuandosi.
In realtà, tuttavia, l’obiettivo di Washington non verte assolutamente sullo smantellamento della NATO, quanto sul lanciare un chiaro ed inequivocabile monito ai propri alleati, richiamandoli al rispetto degli accordi presi al momento dell’adesione all’Alleanza.
I paesi europei non sono però nelle condizioni adeguate per profondere sforzi in questo senso e difficilmente riusciranno a convincere le rispettive opinioni pubbliche della necessità di contribuire ad alimentare un’Alleanza Atlantica che sta dimostrandosi sempre più come un mero braccio armato della politica estera statunitense privato del proprio carattere originariamente difensivo.
Come spesso accade i momenti di crisi riservano sia rischi che opportunità, che nel caso specifico corrispondono all’irripetbile occasione di revisionare integralmente l’architrave della NATO, che ha perso la propria ragion d’essere al momento del collasso dell’Unione Sovietica.
Nel corso del vertice di Roma (7 novembre 1991) il Consiglio Atlantico avallò i progetti riorientatitivi dell’Alleanza escogitati da Washington.
Nel documento intitolato The Alliance’s New Strategic Concept ratificato al termine della riunione si legge infatti che: “Contrariamente alla predominante minaccia del passato i rischi che permangono per la sicurezza dell’Alleanza sono multidirezionali e di natura multiforme, cosa che li rende difficili da prevedere (…). Le tensioni potrebbero sfociare in crisi dannose per la stabilità europea e portare a conflitti armati suscettibili di coinvolgere potenze esterne o espandersi anche all’interno dei paesi della NATO“.
Da ciò si deduce che: “La dimensione militare della nostra Alleanza resta un fattore cruciale, ma la novità sta nel fatto che essa sarà posta al servizio di un concetto più ampio di sicurezza“.
Il “concetto più ampio di sicurezza” menzionato all’interno del documento è stato messo in pratica in Somalia, Jugoslavia, Afghanistan e Libia, scenari in cui l’Alleanza Atlantica è intervenuta unilateralmente in assenza di attacchi diretti contro alcun paese membro, cosa che ha fatto decadere il principio cardine dell’Alleanza secondo cui “Un attacco contro uno o più membri è considerato come un attacco contro tutti“.
La NATO si configura quindi come un’alleanza che gli Stati Uniti hanno promosso con l’obiettivo di puntellare il proprio predominio sul Vecchio Continente, che passa per il veto relativo alla nascita di un esercito europeo e per il sabotaggio di ogni progetto di integrazione tre Europa ed Asia.
L’erosione dalla NATO rappresenta perciò una soluzione obbligata per un’Europa priva di ogni residuo di sovranità.